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L’analisi del Commissario Nazionale della Filp Cisal, Vincenzo Morelli
Con una recentissima risposta da interpello l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la chiusura a causa del contagio da Covid-19 dello studio professionale non costituisce causa di “forza maggiore” o un “evento eccezionale e imprevedibile” che legittimi la sospensione o il differimento degli obblighi fiscali per il contribuente assistito. Pertanto anche se uno studio professionale è posto in “quarantena” obbligatoria a causa di una gravissima ed imprevedibile pandemia mondiale, le scadenze fiscali vanno rispettate, pena l’applicazione di sanzioni. Dal ragionamento dell’Agenzia si potrebbe ricavare il seguente “principio”: poiché non è il contribuente ad essere impossibilitato ad effettuare gli adempimenti a causa della quarantena ma il suo intermediario, ben potrebbe essere lo stesso contribuente, benché in “eventuale difficoltà da valutarsi caso per caso”, a porre in essere in autonomia l’adempimento (magari, rivolgendosi ad un altro intermediario!). Come naturale conseguenza, qualora ciò non venga fatto, i contribuenti risultano responsabili nei confronti del Fisco e – si aggiunge – se ne potrebbe anche desumere una potenziale responsabilità dello stesso professionista nei confronti del contribuente e del Fisco (si pensi ai tardivi invii delle dichiarazioni fiscali per i quali la normativa fiscale pone una sanzione anche in capo all’intermediario). La posizione degli Uffici è intollerabile e va del tutto rigettata per diverse e convergenti ragioni. Non si vuole qui entrare nel merito – come invece fa l’Agenzia per sostenere una posizione che non è obiettivamente sostenibile – di cosa si intenda per “causa di forza maggiore” o di “evento eccezionale e imprevedibile”. E non lo si vuol fare perché sembra assurdo ed inconcepibile che una pandemia mondiale che causa – solo in Italia – decine di migliaia di contagi al giorno e centinaia di morti – non possa essere ricondotta in una o dell’altra categoria. Lo stesso vale per l’inconsapevole e involontario contagio dei professionisti. La posizione dell’Agenzia va poi criticata in quanto potenzialmente in grado di generare insanabili conflitti tra lo studio professionale ed il contribuente/cliente nonché vere e proprie distorsioni della concorrenza. È chiaro che, in base alla posizione dell’Agenzia, se il contribuente non può essere seguito nell’effettuazione degli adempimenti dal professionista di fiducia posto in quarantena, deve trovarsene – e in fretta – un altro (perché che, al tempo dei mille lacci e lacciuoli che governano il Fisco italiano, è impensabile che il contribuente provveda in autonomia a farlo, come ritiene l’Agenzia). È vero: il Codice deontologico di tutte le professioni impone generalmente un dovere di solidarietà ed un obbligo di lealtà tra professionisti e ciò anche nella ipotesi di impedimento temporaneo di un professionista. Ma è chiaro a tutti che un danno – per quanto involontario ed inconsapevole – generato da un professionista ad un contribuente di certo non migliora i rapporti con la clientela, con tutte le conseguenze che ne derivano e che sono facilmente intuibili. Ad avviso di chi scrive, la posizione dell’Agenzia pone anche un tema di incolumità pubblica: con una posizione così estrema dell’Agenzia, vi è il serio rischio che, per evitare di creare danni alla propria clientela (e al proprio studio professionale) i professionisti siano spinti a violare la quarantena per portare a termine gli adempimenti. Si vedrà se sarà inserita qualche nuova legge o sarà varato qualche nuovo provvedimento per risolvere il problema. Nel frattempo, un dato è certo: la dignità dei professionisti è lesa pesantemente una volta di più, con danni inesorabili per tutte le categorie professionali, per i clienti assistiti e, più in generale, per l’intera collettività. Si deve infatti rimarcare che tutte le categorie professionali – tra cui quelle che svolgono attività di intermediari fiscali – svolgono una funzione di tutela degli interessi erariali e di presidio di legalità. Ci si chiede allora: se è in primo luogo l’Erario a calpestare la dignità dei professionisti, quando resisterà questo baluardo di legalità?

L’analisi del Commissario Nazionale della Filp Cisal, Vincenzo Morelli
Con una recentissima risposta da interpello l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la chiusura a causa del contagio da Covid-19 dello studio professionale non costituisce causa di “forza maggiore” o un “evento eccezionale e imprevedibile” che legittimi la sospensione o il differimento degli obblighi fiscali per il contribuente assistito. Pertanto anche se uno studio professionale è posto in “quarantena” obbligatoria a causa di una gravissima ed imprevedibile pandemia mondiale, le scadenze fiscali vanno rispettate, pena l’applicazione di sanzioni. Dal ragionamento dell’Agenzia si potrebbe ricavare il seguente “principio”: poiché non è il contribuente ad essere impossibilitato ad effettuare gli adempimenti a causa della quarantena ma il suo intermediario, ben potrebbe essere lo stesso contribuente, benché in “eventuale difficoltà da valutarsi caso per caso”, a porre in essere in autonomia l’adempimento (magari, rivolgendosi ad un altro intermediario!). Come naturale conseguenza, qualora ciò non venga fatto, i contribuenti risultano responsabili nei confronti del Fisco e – si aggiunge – se ne potrebbe anche desumere una potenziale responsabilità dello stesso professionista nei confronti del contribuente e del Fisco (si pensi ai tardivi invii delle dichiarazioni fiscali per i quali la normativa fiscale pone una sanzione anche in capo all’intermediario). La posizione degli Uffici è intollerabile e va del tutto rigettata per diverse e convergenti ragioni. Non si vuole qui entrare nel merito – come invece fa l’Agenzia per sostenere una posizione che non è obiettivamente sostenibile – di cosa si intenda per “causa di forza maggiore” o di “evento eccezionale e imprevedibile”. E non lo si vuol fare perché sembra assurdo ed inconcepibile che una pandemia mondiale che causa – solo in Italia – decine di migliaia di contagi al giorno e centinaia di morti – non possa essere ricondotta in una o dell’altra categoria. Lo stesso vale per l’inconsapevole e involontario contagio dei professionisti. La posizione dell’Agenzia va poi criticata in quanto potenzialmente in grado di generare insanabili conflitti tra lo studio professionale ed il contribuente/cliente nonché vere e proprie distorsioni della concorrenza. È chiaro che, in base alla posizione dell’Agenzia, se il contribuente non può essere seguito nell’effettuazione degli adempimenti dal professionista di fiducia posto in quarantena, deve trovarsene – e in fretta – un altro (perché che, al tempo dei mille lacci e lacciuoli che governano il Fisco italiano, è impensabile che il contribuente provveda in autonomia a farlo, come ritiene l’Agenzia). È vero: il Codice deontologico di tutte le professioni impone generalmente un dovere di solidarietà ed un obbligo di lealtà tra professionisti e ciò anche nella ipotesi di impedimento temporaneo di un professionista. Ma è chiaro a tutti che un danno – per quanto involontario ed inconsapevole – generato da un professionista ad un contribuente di certo non migliora i rapporti con la clientela, con tutte le conseguenze che ne derivano e che sono facilmente intuibili. Ad avviso di chi scrive, la posizione dell’Agenzia pone anche un tema di incolumità pubblica: con una posizione così estrema dell’Agenzia, vi è il serio rischio che, per evitare di creare danni alla propria clientela (e al proprio studio professionale) i professionisti siano spinti a violare la quarantena per portare a termine gli adempimenti. Si vedrà se sarà inserita qualche nuova legge o sarà varato qualche nuovo provvedimento per risolvere il problema. Nel frattempo, un dato è certo: la dignità dei professionisti è lesa pesantemente una volta di più, con danni inesorabili per tutte le categorie professionali, per i clienti assistiti e, più in generale, per l’intera collettività. Si deve infatti rimarcare che tutte le categorie professionali – tra cui quelle che svolgono attività di intermediari fiscali – svolgono una funzione di tutela degli interessi erariali e di presidio di legalità. Ci si chiede allora: se è in primo luogo l’Erario a calpestare la dignità dei professionisti, quando resisterà questo baluardo di legalità?
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